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Jaques Schneider, ingegnere e pilota francese (1879-1928) è noto agli appassionati di aereonautica per aver dato il nome al Trofeo (illustrazione in basso al centro) che fu assegnato definitivamente alla Gran Bretagna, nel 1931, dopo aver vinto tre edizioni, le ultime biennali.

La “Coppa Schneider”, disputata in diversi Paesi (Francia, Italia, Gran Bretagna, U.S.A.), era riservata agli idrovolanti ed esprimeva la voglia di proiettare verso il futuro la tecnica motoristica più avanzata, quella dell’aviazione.

Il suo svolgimento avveniva su un “circuito” delimitato da due soli tralicci, attorno ai quali gli aerei viravano per dirigere verso quello successivo.

La passione per la velocità, nei primi trent’anni del Secolo scorso, era quasi epidemica ed i records, di qualsiasi natura, occupavano spesso le prime pagine dei giornali: nel decennio successivo i vari “Ministeri della Guerra” si appropiarono del testimone sportivo per incrementare le prestazioni dei velivoli con tutt’altri scopi in mente.

Nonostante la funerea atmosfera che aleggiava nei cieli di tutto il mondo, l’Industria aereonautica riuscì a produrre capolavori di ingegneria ed a vestire con linee eleganti e personalissime sia gli aerei da caccia che quelli da bombardamento.

I reduci dallla Seconda Guerra Mondiale, dopo il primo periodo di assuefazione alla pace ed il successivo reinserimento nella vita “civile”, furono toccati dalla nostalgia dei mezzi che avevano, in vario modo, protetto la loro vita e difeso quella dei congiunti lontani. Non è retorica, nè tentativo di indorare la pillola, ma le linee sfuggenti di uno Spitfire inglese o quelle ancor più perfette dell’americano Mustang P51 (quando sterilizzate dagli scopi costruttivi) destano effettivamente la medesima ammirazione, nel patito di meccanica, che è provocata da una locomotiva “Super Chief” del “Santa Fe Express”, da un motoscafo Riva o Chris Craft, o da una più abbordabile Cadillac o Maserati.

Tenendo presente che vari esemplari, eccezionalmente ben conservati e/o debitamente restaurati, campeggiano in tutti i Musei dedicati al volo ed all’aviazione, è evidente che lo sforzo costruttivo messo in atto dai protagonisti del conflitto era di gran lunga superiore alla ricettività delle esposizioni. Così come era accaduto per moto ed automobili, anche gli aerei di qualsiasi tipo erano stati declassati a “surplus” e posti in vendita, nella speranza di vedere impiegati i propulsori ed il metallo in qualche tipo di servizio utile.

Gli hot rodders iniziarono con le “belly tanks” (i serbatoi ausiliari da 165 e 315 galloni) per passare poi al mostruoso Allison V12 di 28 litri che motorizzò i primi dragsters dei fratelli Arfons, senza dimenticare la benzina “avio”, nè le canalizzazioni (elettriche ed idrauliche) che in un aereo devono essere molto più affidabili che non su una moto od auto.

Nel periodo durante il quale si stavano disputando le ultime edizioni della Coppa Schneider, Settembre 1928, Clifford Henderson, decise di organizzare un’Esposizione di aerei corredandola di un’opportuna competizione, nei dintorni di Los Angeles in una zona, allora, mineraria (Mines Filed). Nel 1929 la “National Air Races and Aeronautical Exposition” migrò sull’aereoporto di Cleveland (Ohio), per poi passare a Chicago (Illinois), ritornare a Cleveland nel 1931 e 1932 e finire, nel 1933, nei medesimo Mines Field delle origini.

Dal 1934 al 1939 si disputarono edizioni “minori” variamente denominate (“Bendix Trophy”), sempre tenendo presente lo spirito del fondatore Clifford Henderson il quale voleva una manifestazione di tipo “non militare”. Purtroppo ciò venne meno nel 1962 quando si verificò il volo Coast-to-Coast di un B-58 Hustler, bombardiere dell’U.S.A.F., presuntuosamente spacciato per record sportivo.

Il primo esperimento moderno o sganciato dalle Esposizioni e National Air Races è datato 1964 ed è merito di Bill Stead, il quale dopo i primi due anni su una pista in terra (“Sky Ranch”, Sparks, Nevada) passò a Reno, Nevada, dove la denominazione “National Air Races” fece il suo ritorno accendendo le fantasie e la determinazione di tutti coloro i quali sognavano di far volare attorno ai piloni le loro crature.

“Fly low, go fast, turn left” è il motto attuale e racchiude quella filosofia del volo a bassa quota in circuito che è, contemporaneamente, eredità della Coppa Schneider e del “turning left” automobilistico: il volo attorno a diversi piloni (non più solo due) virando solo ed esclusivamente a sinistra.

Gli aerei che prendono parte alle air races sono, ovviamente, divisi in Classi tenendo conto dell’architettura (soprattutto relativa alle ali) e della motorizzazione. In estrema sintesi ecco le carettteristiche principali:

UNLIMITED CLASS: i caccia della II GM restaurati e modificati od aerei (anche plurimotore) non comprensibili in altre categorie; lunghezza del circuito 8,4803 miglia, velocità circa 500 mph (km/h 800) e 3.5 G di accelerazione sopportati;

JET CLASS: propulsione a reazione; circuito di 8,3818 miglia; velocità 425 mph; 3.5 G;

SPORT CLASS: aggiunta nel 2005; aerei monoposto “da gara”, monomotore; velocità 300 mph; circuito di 6,3688 miglia; G 3.5; i limiti citati sono incrementati per la “Sport Class Gold”;

T-6 CLASS: riservata ad aerei da addestramento non modificati (North American AT-6 “Texan”, conosciuto come il “pilot maker”); velocità 225 mph; circuito di 5,0646 miglia; G 2;

FORMULA ONE CLASS: aerei di bassa potenza, monoplano e monoposto; velocità 250 mph; circuito di 3.1875 miglia; 3 G;

BIPLANE CLASS: aerei con doppio piano alare (da quì il nome) monoposto; capaci di fantastiche acrobazie; velocità 210 mph; circuito di 3,1761 miglia; 3 G.

Per i “non addetti ai lavori” (come me) le foto sotto forniscono un’idea più completa.

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UNLIMITED CLASS

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JET CLASS

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SPORT CLASS

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T6 CLASS

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FORMULA ONE CLASS

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BIPLANE CLASS

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