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We affirm that the world’s magnificence has been enriched by a new beauty: the beauty of speed. A racing car whose hood is adorned with great pipes, like serpents of explosive breath—a roaring motor car which seems to run on machine-gun fire is more beautiful than the Victory of Samothrace”. - F.T. Marinetti, Manifesto Of Futurism

 

Il vocabolo “hot rodding” non è presente in molte notissime Enciclopedie o Vocabolari di lingua anglosassone: non è molto usato dagli stessi praticanti e non è facilmente descrivibile; non ha confini ben delimitati e può comprendere attività che mutano con il passare del tempo. Per finire “hot rodding” è, soprattutto, una “forma mentis”.

Vari Autori (americani) hanno differentemente definito lo “hot rodding”: da “l’arte di elaborare un veicolo” a “il complesso di attività esercitate dagli hot rodders”.

E’ molto probabile che noi europei non comprendiamo (in generale) lo hot rodding perchè l’automobile, in Europa, sin dalla sua nascita e per lunghi anni, è stata appannaggio quasi esclusivo di pochi individui le cui disponibilità finanziarie erano di gran lunga superiori a quelle dei loro contemporanei: la “motorizzazione di massa” si è affermata, in Europa, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, mentre negli Stati Uniti d’America questo fenomeno è iniziato durante il primo decennio del secolo scorso. Per merito del Signor Henry Ford, inventore della catena di montaggio e produttore della Ford modello T.

Oggetto di moltissime “leggende metropolitane”, la Ford modello T era prodotta, nei primi anni, con carrozzeria di vario colore e solo con l’introduzione della fabbricazione semi-automatizzata (1914) si decise un unico colore (il nero, appunto) perchè i pigmenti applicati precedentemente avevano il difetto di “annerirsi” con il passare del  tempo (poco, per la verità).

Quindici milioni (o poco più) di veicoli commercializzati in vent’anni (o poco meno), con pochissime varianti di architettura generale, in un Paese nel quale non era morto lo “spirito di frontiera”, spinsero inevitabilmente i proprietari a “modificarla”: notare che la semplicità e la robustezza di questa (supereconomica) vettura sembravano “fatte apposta” perchè chiunque potesse smontarla completamente e rimontarla, senza la benchè minima difficoltà. Quando, nel 1928, “Tin Lizzie” lasciò il posto alla successiva “model A”, si erano già affermate Aziende artigianali le quali producevano “kits” disponibili presso il General Store del paesello, mediante i quali era possibile modificare una “runabout” in trattore ed una “phaeton” in autopompa per i Vigili del Fuoco.

Non solo: il quattrocilindri a valvole laterali era stato modificato in meravigliosi 16 valvole e doppio asse a cammes in testa, che moltiplicava per il fattore cinque gli originari 18 cavalli, a partire dal 1916. Le spinte alle trasformazioni venivano dalla stessa Ford Motor Company, la quale, attraverso un proprio Reparto Esperienze Speciali, capitanate dal braccio destro di Henry Ford, tal Frank Kulick, partecipava, per scopi pubblicitari, a tutte le competizioni cui era possibile iscrivere una Ford model T: prevalentemente su circuiti ovali, allora ex impianti ippici, sui quali le vetture di Dearborn, come descrivono le cronache d’epoca, “facevano il girotondo” intorno a ben più potenti e famose vetture, vincendo con regolarità strabiliante.

La somma di tanti fattori contemporanei sfociò in una sola convinzione generalizzata: il veicolo “automobile” può essere modificato, adattato, potenziato e stravolto come meglio piace, perseguendo necessità e desideri variabili a seconda della personalità o dei capricci del proprietario. Questo, in estrema sintesi, “lo spirito dello hot rodding”.

Sull’onda delle necessità contingenti o seguendo pulsioni sportive, l’americano medio di giovane età non considerava, nè considera, l’auto alla stessa stregua di un monolito intoccabile (come facciamo noi Europei), bensì una palestra dove esercitare la propria “craftmanship” (abilità manuale) alla quale si aggiunge, per le onnipresenti difficoltà di ordine economico, una dote che è possibile scoprire, esercitare ed affinare: “ingenuity”, o, più prosaicamente, arte di arrangiarsi, la quale ultima deve passare attraverso un iter caratterizzato dal “trial and error” (prova e riprova), generalmente dovuto alla non conoscenza di tecnica e scienze matematiche, fisiche e chimiche.

“Hot rodding” è quindi una disposizione mentale volta ad ottenere da un veicolo “qualsiasi cosa”, anche quando non prevista dal Progettista e dal Costruttore, applicando craftmanship, ingenuity e trial and error, nonostante le “apparenti” impossibilità proclamate dai genitori, dal meccanico e dall’ingegnere.

La mia personale definizione del vocabolo è la seguente:

hot rodding è l’insieme di attività intellettuali e manuali attraverso le quali un individuo, spesso superando limiti teorici, è in grado, contemporaneamente od in fasi successive: di pensare, progettare e realizzare artigianalmente un veicolo il cui uso soddisfa totalmente le proprie esigenze economiche, ergonomiche, estetiche e sportive, in piena legalità; di suscitare l’attenzione di altri sul proprio operato in modo da provocarne l’emulazione ed il confronto; di accettare e/o favorire l’integrazione di gruppi di persone interessate alla medesima forma di sviluppo tecnico, di competizione ed  alle eventuali prospettive di natura economica.

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