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L’immagine quì sopra, fornisce un’idea abbastanza chiara di che cosa fosse la drag-race nel periodo immediatamente successivo alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Siamo, evidentemente, sulla pista di un aereoporto (ingombrante la presenza di un hangar sulla sinistra e più distante, la torre di controllo); chiara altrettanto la presenza di due uomini in pista, il più vicino un Tech della S.C.T.A. (il giubbotto è quello), addetto all’allineamento; più avanti lo starter (“flagman”) in attesa delle vetture, con le bandiere anbbassate lungo i fianchi. Le macchine sono due roadster (quello di sinistra sembra più “souped-up” dell’avversario), regolarmente targate ed i piloti indossano una berretta, non il casco. Tuttavia il pubblico, assiepato ad entrambi i lati, è posto a notevole distanza dall’improvvisata “strip” Infine le strisciate sulla superficie di cemento (non asfalto) possono far pensare che qualcuno usasse già praticare il “burnout”:  nonostante la cattiva resa della foto è altrettanto agevole pensare che le gare fossero piuttosto affollate.

Ai giorni nostri lo sport del “drag racing” è organizzato e regolamentato da almeno una dozzina di Association (negli U.S.A.) e riconosciuto, in parte (quello dei PRO), dalla Federation Internationale de l’Automobile: è altrettanto vero che l’Organizzazione è attiva e presente, a vari e molteplici livelli, in una trentina di Nazioni, Italia compresa almeno nell’ultimo decennio.

Gli Autori americani (in primis Wally Parks) si sono sempre preoccupati di fornire spiegazioni sul “perchè” sia nato un tipo di competizione che risultava essere così diverso da quello precedentemente disputato. Stabilito che, secondo i praticanti, la velocità massima di un veicolo (moto od auto) è misurabile con adatta apparecchiatura, è altrettanto normale verificare come tale velocità massima sia raggiungibile soltanto con un adeguato spazio lungo il quale effettuare “la rincorsa”. Alla fine degli anni trenta ed agli inizi dei primi quaranta soltanto la smisurata distesa di “Lake Muroc” (ex Rodriguez Lake) poteva effettivamente garantire la lunghezza necessaria.

Subito dopo il 7 Dicembre 1941 (Pearl Harbour) l’esercito degli Stati Uniti requisisce (plotoni di avieri con baionetta in canna) tutta la superficie dell’ex Muroc  Lake e gli hot rodders sono costretti ad utilizzare altre suferfici, privilegiando El Mirage. La pausa dovuta al richiamo dei teen agers non evita che, al momento del rimpatrio, gli hot rodders si rendessero conto come la superficie dei lakes (tutti), mai sottoposta a lavori di manutenzione, risultasse “rovinata” dalle migliaia di passaggi a velocità ormai superiori alle 100 mph. Contemporaneamente si verifica una recrudescenza (od una rinascita) del fenomeno di sfide illegali su strada aperta al traffico e la S.C.T.A. si preoccupa del fenomeno.

Queste due concause (inagibilità relativa dei lakes e criminalità motoristica) sfociano in un interessamento delle Forze di Polizia che tenta di agire con la “prevenzione” e decide di contattare gli hot rodders “organizzati in Clubs”. Il periodo durante il quale la Polizia e la S.C.T.A. rimangono in contatto di collaborazione può essere circoscritto tra il 1946 e il 1951 ma sfocia in una importante decisione: l’intervento degli Sceriffi di Contea quali intermediari presso le Forze Armate affinchè vengano assegnati in uso ai Clubs, quanti più aereoporti abbandonati (per mancato utilizzo) fosse possibile.

In effetti quasi tutte le “strip” della prima ora risultano essere ex-aereoporti o tratti di aereoporto: tale era la “Santa Ana drag strip” di C.J. “Pappy” Hart, inaugurata il 2 Luglio 1950. Accanto al lavoro della Polizia è importante menzionare quello svolto dai vari “services Clubs” i quali, dopo la logica perplessità iniziale. affiancarono il lavoro delle Forze dell’Ordine: la “Lions Drag Strip” deve il nome proprio al generoso intervento del Lions Club. Infine Paradise-Mesa, ricordata anche per le sfide tra auto e moto, era un altro ex-aereoporto militare.

E’ logico capire come fosse meglio disporre di una striscia lunga un chilometro “soltanto” (rispetto alle dieci miglia di Muroc) piuttosto che niente: gli esperimenti condotti dal 1938 in poi sulle corte distanze e “standing start” (partenza da fermo), fecero il resto. Un’altro motivi per cui la “drag race” soppiantò (almeno in parte) il “flying mile” (miglio lanciato) è dovuto al pubblico.

Muroc distava circa 100 miglia dalla periferia (di allora) di Los Angeles (il General Store di Adelanto o la Stazione di Polizia di Lancaster i riferimenti più citati dai protagonisti dell’epoca) ed il percorso era tracciato da una “infernale strada sterrata” che l’esperienza dei veterani consigliava percorrere in carovana, mai da soli. Una volta arrivati sul terreno, a partire dalla mezza mattinata, le temperature raggiungevano e superavano i cinquanta centigradi con il disagio che è possibile immaginare in un deserto. Le primitive organizzazioni dei “meetings” curavano la compilazione delle Classifiche, prontamente comunicate ai drivers, ma non avevano grande considerazione del pubblico, peraltro numerosissimo. Quindi capire se, come e quanto l’amico od il conoscente avesse raggiunto e superato il record era cosa da rimandarsi, caso mai, alla sera. In breve i pur assidui Spettatori di Muroc (ed altri lakes) si dovevano accontentare del rombo cadenzato delle messe in moto e della vista di “rear panels” (coda) dei vari roadsters, lakesters e belly tanks, scomparire in nuvoloni di polvere alcalina.

C.J. “Pappy” Hart, invece, come visto già dall’estate 1950, aveva in grande considerazione il Pubblico (anche perchè era richiesto un pur modesto biglietto d’ingresso) ed obbligato a montare tutti (TUTTI) gli impianti il Sabato sera per poi smontarli la Domenica notte, forniva tribune prefabbricate lungo la strip ed una interessantissima novità: lo speaker.

Don Tutle, un giovane dotato di parlantina adatta, era incaricato di integrare la visione delle partenze e del procedere lungo i 1320 piedi della strip, con i commenti più adatti: allineamento, funambolismi del flagman, partenze corrette e false, deviazioni dalla traiettoria rettilinea e, cosa importantissima, tempi e velocità forniti “in tempo reale” dai cronometristi che condividevano la sua postazione sulla “tower” (la prima, anche questa, dovuta ad Hart).

A questo punto chiunque poteva fare un paragone: praticamente nessuna informazione sui lakes contro una radiocronaca in diretta sulla strip. Accanto agli altri motivi, l’informazione giocò un ruolo determinante nella diffusione della drag race. Per finire gli aereoporti erano molto più vicini alle città (in tutti gli Stati) di quanto non potesse esserlo un deserto.

C.J. “Pappy” Hart ha pure un altro merito, per quanto attiene lo sviluppo della drag race: era un convinto assertore della possibilitàdi far gareggiare chiunque, anche su veicoli “daily driven”. Sembra non sia collegabile alla diffusione dell’accelerazione, ma sulle prime strips lo spettatore entusiasta di quella forma di competizione (più vicina a casa sua, ben raccontata dallo speaker ed apparentemente semplice) era (ed è ancor oggi) sempre più tentato di togliere la Plymouth dal parcheggio e farla scendere in pista “for fun”, per divertirsi.

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Vintage Drag Races - 1962


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