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Per qualche misteriosa ragione i potenziali drag racers sono convinti che la drag race sia riassumibile in due parole: “verde, Vai!” Non mi riferisco ai miei amici italiani che hanno iniziato questa esaltante esperienza da poco, ma anche a celebrati Campioni americani i quali, nel raccontare la loro esperienza, si vergognano un poco ammettendo “di essere saltato su un dragster ed aver schiacciato il pedale  dell’acceleratore finchè non capii che avevo passato la finish lane”, all’età di sedici o diciassette anni.

Accelerare in competizione a bordo di qualsiasi veicolo è un’arte: come tale presuppone preparazione, prove ed un certo bagaglio di conoscenze della fisica, chimica e matematica.

La misura della maggior o minor accelerazione di un veicolo dipende da tre fattori: l’architettura del veicolo (caratteristiche tecniche), il coefficiente di aderenza tra pneumatici e pista, le condizioni metereologiche. A quanto mi risulta nessuno, in Europa, considera la rilevanza di questi fattori. Il drag racer esperto, al contrario, è cosciente che la sua abilità di guida può meglio sfruttare queste specifiche condizioni e la loro variabilità.

L’esempio più banale, a sostegno di questa tesi, è quello relativo alla frase “verde, Vai!”. Ammettiamo che il drag racer sia dotato di riflessi fulminei, quindi in grado di far rilevare un tempo di reazione al verde istantaneo (in linguaggio tecnico è Reaction Time 0”.00) ma effettua la partenza facendo “fumare” e stridere i pneumatici persino nei due successivi cambi di marcia. Spettacolo per il Pubblico, ma quasi sicuramente tornata persa.

Il suo team-manager, se ne avesse uno, gli potrebbe spiegare che le sospensioni posteriori non sono sufficientemente rigide, che i pneumatici sono gonfiati ad una pressione eccessiva e che il motore, forse, dovrebbe girare un pò meno, dato il tempo “umido”.

Molti neofiti si preoccupano eccessivamente di avere assicurazioni circa la potenza del loro “engine” e trascurano i valori di coppia: anche perchè la coppia è un dato spesso sottovalutato. La potenza viene prodotta dallo scoppio della miscela aria-carburante nella camera di combustione e si sviluppa lungo il pistone e la biella: all’altezza (diciamo così, per capirci) dell’albero a gomiti (crankshaft, in inglese) il moto rettilineo alternato viene tramutato in coppia che è rappresentata dal moto rotatorio che si propaga lungo volano, frizione, cambio, albero di trasmissione, differenziale, semiassi e ruote, tutti elementi che “girano” solo ed esclusivamente grazie ai valori di coppia, ovvero moto rettilineo convertito in moto rotatorio (sarebbe più esatto parlare di “torsione”, ma “rotatorio” è più comprensibile a tutti). Una massima dovuta all’ing. Reher (della Reher & Morrison americana) dice che i migliori valori di coppia si ottengono con i motori in cui corsa ed alesaggio sono simili, i cosiddetti “quadri” e “superquadri”: mi sono dato la pena di confrontare, sotto questo profilo, i dati di un centinaio di motori “originali” prodotti in Europa ed in America ed ho concluso, ovviamente, che l’Ing. Reher “ha ragione!”.

Altro elemento sottovalutato è la telaistica: un veicolo che dispone di 600 cavalli al banco ma ha le sospensioni tarate come quelle di una limousine, è sicuramente inadatto all’accelerazione. Perchè il veicolo che ci si propone di far accelerare “brutalmente” è sottoposto a forze (qualche volta invisibili, ma sempre presenti) che agiscono dinamicamente su tutti i suoi componenti, pilota o centauro compresi. Una buona accelerata deve regalare al pilota il famoso “calcio nella schiena”, empirico sintomo di una buona messa a punto che dipende, in gran parte, dalla capacità del mezzo di “scaricare a terra”, istantaneamente, tutti i Watts ed i nanometri a disposizione, non utilizzandoli, invece, per comprimere molloni ed ammortizzatori o per far impennare la moto.

Non tutte le forze sono totalmente od integralmente controllabili: per capire, comunque, quali siano quelle che agiscono su una vettura impegnata in accelerazione si osservino le due illustrazioni in basso, a destra, tenendo presente che è più facile ed agevole osservare l’innalzamento del muso, piuttosto che non il parafango anteriore sinistro che si solleva e la ruota corrispondente che perde aderenza. Ma è possibile filmare le prove.

A livello amatoriale è facile asserire che “certe sottigliezze” possono interessare esclusivamente i PROs: in effetti conoscere il coefficiente di aderenza di un pneumatico su un certo tipo di asfalto non è agevole, ma l’ingenuity ed il trial-and-error possono fare miracoli. Provare. In spazio chiuso, non per strada, con l’aiuto di un amico e di un manometro è possibile stabilire a quale esatta pressione devono essere gonfiate le motrici: generalmente si tratta di una pressione inferiore a quella utilizzata normalmente per il semplice motivo per cui in accelerazione è l’ampiezza dell’impronta a terra che conta e non la capacità di affrontare una curva ad una certa velocità: più ampia è l’impronta a terra, migliori saranno le doti di trazione.

Le condizioni metereologiche interessano i drag racers europei semplicemente perchè è risaputo: “rain, no drags!”, o: se piove non si può accelerare. Tutti i drag racers conoscono, però, l’esatto rapporto aria-carburante che è teoricamente ottimale per far esplodere a tempo debito la miscela: si dice “teoricamente” perchè è altrettanto teorico il presupposto che la pressione dell’aria sia quella “normale al livello del mare”. Ciò comporta anche che il volume ed il peso di aria sia ottimale rispetto ai valori del carburante: siamo sicuri? Supponiamo che la pressione cali a 1.000 millibar. La scienza della fisica dice che un gas (e l’aria è un gas, o una miscela di più gas) si espande in misura proporzionale alla diminuzione della pressione: ciò significa che la medesima quantità d’aria richiede un volume più ampio o, al contrario, che un dato volume (carburatore, condotti d’aspirazione e camera di scoppio) può contebere “minor quantità di gas quando diminuisce la pressione”. Ne consegue che al nostro motore, letteralmente, “manca l’aria” quando la pressione si abbassa per causa dell’altitudine, del variare delle condizioni metereologiche e dell’umidità relativa. In slang tecnico si chiama “air density” (densità dell’aria, un termine rifiutato dai fisici) il calcolo del numero di molecole di ossigeno presenti in “quel luogo, in quel momento” nell’aria: già perchè non è l’aria a far bruciare la benzina, ma l’ossigeno in essa presente ed in grado di “incontrare” le molecole di idrocarburi presenti nella camera di scoppio, all’accensione della candela, quindi vale l’equazione “meno aria, meno ossigeno, minor potenza e coppia sviluppate dal motore”. Ovvio che anche l’aumento di pressione pone problemi, risolvibili con tecniche di “tuning” (messa a punto) opposte.

Quando si dispone di “big numbers”, di “big ’n’ littles” e di “more ten, and ten and ten more” è logico il conseguente “nail it!”. Spiegazione: grandi potenze, slicks alle motrici ed una messa a punto “esagerata” spingono a sfondare il pianale con il pedale dell’acceleratore. Credo si possa capire che siamo molto vicini al lapalissiano “niente di più sbagliato”: non è esattamente così, ma occorre almeno un pò di tecnica e meno irruenza.

Burnout: è spettacolare per il pubblico ma, principalmente, deve pulire le slicks e portarle alla temperatura ottimale. Non deve raschiare battistrada da pneumatici stradali. Un passaggio a bassa velocità sull’acqua in modo che tutta la circonferenza si “lavi” e, soltanto dopo, la sgommata: quest’ultima deve essere calibrata in modo che la temperatura sia quella giusta anche dopo il tragitto fino allo staging e le sue fasi: bisogna calcolare cha dopo il burnout può passare quasi un minuto prima dell’accensione del verde. Un burnout troppo breve o mal fatto può risultare assolutamente inutile.

Allineamento: è una fase delicata e si impara con la pratica il modo migliore di rimanere con le anteriori tra le due fotocellule. Se non si hanno i riflessi pronti è meglio rimanere un pochino più indietro, fermando il veicolo non appena si è accesa la seconda luce.

Start. Non parliamo di PROs, ma di Sportsmen alle prime armi. La tecnica migliore è quella che permette di “impartire l’ordine mentale ai piedi, quando si accende l’ultimo giallo” perchè i riflessi impiegano tempo (decimi e centesimi di secondo) a tramutare la reazione in azione fisica. Avere quaranta centimetri (più o meno) da percorrere, se si inizia ad agire con l’ultima amber light consente anche di evitare la red light di squalifica, pur facendo registrare un basso Reaction Time (che si somma, ai fini della Classifica, all’Elapsed Time).

Launch: è, contemporaneamente, uno spazio misurabile in lunghezza (circa centocinquanta metri) ed in secondi (varia con le potenzialità del mezzo), lungo il quale il veicolo deve; muoversi istantaneamente abbandonando lo stato di quiete grazie alle doti di trazione delle gomme (in questa fase si deve sentire il calcio nella schiena); procedere il più progressivamente possibile, senza troppe variazioni (negative), neppure durante i cambi di marcia, sia che si disponga di manuale od automatico (il “tuning” del cambio è importante per questa ragione); raggiungere la marcia più alta con un elevato potenziale di progressione ancora sfruttabile successivamente.

Strip: è un tratto di pista che si percorre in marcia alta “continuando ad accelerare”, dai centocinquanta metri in avanti..

One second out. Il concetto più astruso: è lo spazio che rimane da percorrere (lunghezza e tempo, un secondo appunto) prima di tagliare la cellula della finish-lane. E’ importante per due opposte ragioni: se si è partiti male, lungo l’ultimo secondo si può spremere il propulsore fino alla spasimo perchè si può, poi, nella Pit Area, ricalibrare ciò che è stato “maltrattato” ma non si può rimediare ad una tornata persa; se si è partiti bene (è affermazione abbastanza frequente “una buona partenza è un run vinto”) durante l’ultimo secondo si deve valutare la posizione dell’avversario “con la coda dell’occhio” e nel caso questi sia indietro, risparmiare la meccanica per la tornata successiva.

Velocità finale (in gergo “mph” o miles per hour): ho sempre sostenuto che serve solo all’orgoglio del pilota, non avendo alcun peso nella classifica, a meno che non si voglia (e si possa) battere un record.

Shut-off-area: è più difficile rallentare che non accelerare: la massima è comune a tutti i piloti di sports motoristici estremi, ivi compresi i recordmen di velocità su qualsiasi superficie. Cala la concentrazione ed è possibile essere squalificati per invasione della corsia opposta “anche dopo la finish lane”.

Retour Road: la corsia di rientro deve essere percorsa a velocità limitata (è segnalato o scritto sul Regolamento) perchè è più stretta di quelle in pista, è più vicina al pubblico e sgommare anche quì “non serve a nulla” o può essere dannoso, al pilota ed a chi gli è vicino.

Time-slip: da “studiare”. Tempo di Reazione, tempo ai primi 60 piedi ed ai 330 permettono di valutare come si è effettuato il launch, che altro non è che la riprova della bontà della messa a punto (“tuning”) di “tutto il veicolo”. E’ questo il motivo per cui gli appunti sulle caratteristiche del veicolo e quelle metereologiche dovrebbero sempre essere conservate e confrontate.

“Dov’è quel tipo che sosteneva che la drag race è una stupidaggine?” E’ stato scritto su CAR CRAFT (agosto 2002, pagina 54) e non è una barzelletta.

Sono a disposizione di chiunque ne voglia sapere di più, per qualsiasi motivo: i miei recapiti sono a fondo pagina. Grazie.

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Le “staging lanes” viste da un Concorrente.

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Il “Christmas Tree” e le sue luci.

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Le cellule di “pre staging” e “staging” viste da terra.

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“Burnout”

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Questo è lo “start”, una delle fasi più delicate della drag race.

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“Launch”, dove la trazione deve essere ottimizzata.

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“One second out”, un secondo prima della finish lane.

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Fase di frenata.

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Il “winner’s Circle”.

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GO! to “DRAG RACING (like a PRO) FOR DUMMIES” Suggerimenti pratici !!!

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Frank Hawley's first win


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