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In tutta sincerità bisognerebbe parlare di films, canzoni e serial televisivi: perchè una delle prime testimonianze (raccolta e ricordata da pochissimi italiani viventi) che in Italia ha portato lo hot rodding è un serial, trasmesso dalla RAI nei primissimi anni sessanta, dal titolo (per fortuna non tradotto) “77, Sunset Strip” . Si trattava di un poliziesco di tipo leggero nel quale un detective, giovane e scanzonato, guida una Ford T trasformata in hot rod. Dal nome del detective, Edd “Kookie” Byrnes, anche il nome della T, Kookie’s T, realizzata da Norm Grabowski, divenuta in breve, negli USA, una sorta di falsariga sulla quale realizzare hot rods “alla moda”. Ovviamente, a parte la curiosità giovanile, tutta l’importanza della realizzazione e ciò che si nascondeva dietro quello strano veicolo sarebbe venuto a galla soltanto qualche anno dopo. Rimanendo in Italia ed in TV, anche il (di molto) successivo “Happy Days” contiene accenni allo hot rodding: a parte l’apertura iniziale del parcheggio di “Arnold’s” si deve notare che il “mestiere” di Fonzie è proprio quello di hot rodder, tradotto in italiano nel più riconoscibile meccanico e/o professore di meccanica.

Il vero responsabile dei primi sospetti circa l’esistenza di attività motoristiche “non convenzonali” praticate negli U.S.A. è il famosissimo “American Graffiti”, durante la proiezione del quale si fa conoscenza con il “cruising” lungo la via principale e la drag race (di tipo illegale): ai più attempati viene subito in mente la sfida fuorilegge tra teen-agers in “Gioventù Bruciata”.

Retrocedendo negli anni anche Clark Gable, appassionato di motori e tra i primi a montare un turbocompressore Paxton sulla Ford Tunderbird, si è visto alla guida di “midgets” sugli ovali in terra, ma la pellicola è troppo “antica” (1950: “To Please A Lady”) per poter essere ricordata: varrebbe la pena ritrovarla per una lezione sul “turning left” stile anni quaranta.

Ancora in Tv molti films che non hanno avuto il desiderato successo nelle sale italiane: “California Kid” (di Richard T. Heffron, 1974) è un esempio classico di quanto non sia normale porsi domande. Un ragazzotto desidera vendicare la morte del fratello causata da uno spregiudicato Sceriffo in una curva appena fuori Città. Praticamente tutto il film verte sulla messa a punto di una splendida Ford Coupe 1934 al fine di poter affrontare la medesima curva a velocità superiore a quella affrontabile all’auto dello Sceriffo per buttarlo fuori strada: una lezione, questa, sul metodo “trial and error”, capita praticamente da nessuno degli spettatori (credo).

Ancora in TV “A Heart Like a Weel” (La vita come una ruota), biografia di Shirley Muldowney realizzata nel 1982, la storia della carriera come drag-racer di una delle donne più famose nel mondo dei motori U.S.A: sarà per la specialità, sarà per la scarsa fama di Sherley quì da noi, il risultato, dovuto a tagli estemporanei e traduzione più che approssimativa, è disastroso e giustifica, almeno in parte, la scarsissima audience.

Prima di questo film, trasmesso anche “The Thomas Crown Affair” (Il caso Thomas Crown) con uno Steve Mc Queen in splendida forma al volante di un Meyers Manx, dune buggy spinto da un Corvair da centoottanta cavalli e dotato di  freno a mano sdoppiato (vedi Mini Cooper squalificata al Rally di Montecarlo) che permette inversioni ”ad U” nello spazio di un fazzoletto!

La lista dei migliori “car movies” sul motorismo americano comprende una cinquantina di pellicole (ben quaranta delle quali disponbili on-line in versione rimasterizzata su DVD) ed è pubblicata sul numero di Febbraio 2006 di Hot Rod Magazine: molti sconosciuti come “Thunder Road” del 1958 inerpretato da Robert Mitchun, altri più noti come “Grand Prix” del 1966 dovuto a John Frankenheimer. Dalla lista manca, però, una realizzazione tutta europea con protagonisti di tutto rispetto ed alle prime armi. Nel 1967 Alain Delon e Lino Ventura furono protagonisti di “I tre avventurieri”, un film d’azione con molte scene subacquee ed una memorabile prova (finita in un disastroso incendio) di un dragster (vero) con tanto di motore 8V e tuta ignifuga indossata da Lino Ventura, sulla pista di un aereoporto. Nonostante questi elementi il film (occasionalmente passato in TV negli orari più assurdi) è praticamente sconosciuto.

Il tema delle canzoni è alquanto spinoso: anche in questo caso hanno giocato a sfavore la scarsa conoscenza dell’inglese e dello slang yankee, per quanto molti italiani siano esperti in espressioni volgari e parolacce. Non nella pronuncia o nella lingua scritta. Prendiamo ad esempio “Barbara Anne” dei Beach Boys (vedremo subito perchè) la quale, scritta e letta in questo modo non dice niente a nessuno. Tutti i famosissimi interpreti italiani, anche appassionati del genere, cantano un incomprensibile “ba-ba-ba-burean” che rende immediatamente ciò che si vuole dire... A queste condizioni pretendere che si possa capire come i Beach Boys debbano essere considerati i veri “menestrelli dello hot rodding” a partire dal 1961 (anno del lancio di “Surfin’ Safari”) è veramente troppo. Purtuttavia si deve notare che a loro produzione è quasi esclusivamente improntata alle custom cars, hot rods e drag race, con logiche escursioni nel surfing sulle onde dell’Oceano Pacifico: “Little Deuce Coupe”, “409” (si pronuncia “four-ou-nine” ed è la cilindrata, in pollici cubi, di un V8 Chevrolet di cui si sente il ruggito), “Our Car Club”, “Custom Machine”, “I Get Around” ed altri.

Vogliamo anche citare qualche nome poco conosciuto? Jan and Dean che cantarono “The Little Old Lady From Pasadena” ispirati da una “Super Stock” Dodge streetable improvvisamente comparsa in città; ma anche “Dead Man’s Curve” su una presunta sfida tra una Corvette ed una Porsche; Ronny and The Daytonas con “GTO” riferito alla muscle car della Pontiac; The Rip Chords con “Hey Little Cobra”, chiaro riferimento alla produzione Shelby.

A quanto risulta da alcuni studi estemporanei, il primo pezzo dedicato allo hot rodding, risale al 1951: si tratta di “Rocket 88”, dedicato ad una Oldsmobile, caso strano quella stessa vettura che fu oggetto del primo test in accelerazione condotto da Motor Trend, in collaborazione con i tecnici di Hot Rod Magazine nel 1949: il pezzo è dovuto al sassofonista Jack Brenston, il quale suonava nel complesso di Ike Turner, ex marito di Tina.

Un’altra vettura, “Hot Rod Lincoln”, è protagonista del titolo e del soggetto di una “tune” scritta da Johnny Bond nel 1960, contemporanea a “Maybelline” di Chuck Berry: gli appassionati di rock and soul capiranno di chi stiamo parlando.

A proposito di celebrità non mancano i nomi noti anche a chi non è orientato verso specifici filoni musicali: citiamo soltanto i più conosciuti ed alcuni motivi. “Highway Star” dei Deep Purple, “Born to Run” e “Thunder Road” di Bruce Springsteen, ma la lista è molto più lunga e si trova, con specifiche citazioni, sul numero 20 del 30 Maggio 1986 di National Dragster, il bollettino settimanale dedicato agli iscritti della N.H.R.A.

Tra i Complessi musicali dichiaratamente orientati al motorismo, oltre ai “Beach Boys” sono da nominare i “Moonkeyes” proprietari di una custom car realizzata dal customizer Dean Jeffries e gli attuali “ZZ Top” il cui barbuto leader ha addirittura aperto una sorta di Museo ove espone la sua collezione di Harley e hot rods.

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La famosa Ford model T protagonista del serial televisivo , “77. Sunset Strip“.

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La locandina di presentazione del serial trasmesso in origine da alcune TV locali, poi acquisite dalla ABC.

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“The California Kid” realizzata da Pete Chapouris.

“FUN, FUN, FUN” by “The Beach Boys”

“LITTLE DEUCE COUPE” by “The Beach Boys”

“409 (Four-Ou-Nine)” by “The Beach Boys”

“GOOD VIBRATIONS” by “The Beach Boys”


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