Chissà per quale recondito motivo, un altro veicolo fuoristrada ha assunto il nome di un altro animale, realmente esistente. il “bug”. Bug può essere cimice, blatta, scarafaggio ma è specificamente riferito alle “cimici d’acqua”, nome popolare di insetti che hanno la curiosa peculistità di “camminare sull’acqua”. Per la verità il nome completo dell’auto in questione è “water-pumped bug” e si riferisce ad esemplari autocostruiti utilizzando telaio a longheroni ed 8V con ruote e pneumatici di trattore che consentivano la percorribilità di zone paludose (Florida) e/o desertiche (spiagge Californiane). Pare che questo tipo di veicolo fosse in uso già a metà degli anni cinquanta e venisse usato per il trasposrto di turisti nelle “Everglades” (carrozzerie “phaeton” anche allungate) o per la vendita di bibite fresche e gelati sulle spiagge (carrozzeria “delivery van” comprensiva di frigorifero). Di fatto l’impiego di “water-pumped bugs” è documentato da riviste quali ROD & CUSTOM e CAR CRAFT solo dai primi anni sessanta, come “scalatori di dune”, una specialità che unisce un percorso brevissimo (90 yarde) a difficoltà quasi insuperabili come la pendenza del 60% (e più) di un crinale in terra, roccia o sabbia.
Le limitazioni del water-pumped bug consistevano nella massa elevata e nella necessità di trasportare al seguito abbondanti scorte di carburante ed acqua essendo appunto caratterizzato dalla presenza nel propulsore della pompa dell’acqua e del radiatore.
Poi avvenne la rivoluzione. Nel 1964 Roger Smith, meccanico autorizzato Volkswagen-Porsche alla Pepper-Tree Automotive di Costa Mesa, CA. costruì una replica della mitica Kubelwagen dell’esercito tedesco, utilizzando parti originali, un telaio in tubi e carrozzeria in alluminio fissata con rivetti, battezzandola “Rivets”. La ditta E.M.P.I., famosa per i suo kits di modifica al maggiolino, nel frattempo, a Riverside, CA. stava mettendo a punto il progetto di una carrozzeria in resina da montare sul pianale, accorciato di 14 pollici e mezzo, della Volkswagen più famosa di tutti i tempi. La vettura aperta, a due soli posti, che era possibile realizzare montando un quattrocilindri originale, venne chiamata “Sportster”. Nel volgere di una stagione esplose la moda del “dune buggy” (cimice delle dune) air-cooled, ovvero raffreddata ad aria, facendo sparire le montagne di VW incidentate che si erano accatastate nei recinti dei demolitori: nel 1965 Bruce Meyer pensò di migliorare l’idea di base, adottando motorizzazioni più potenti (Chevrolet Corvair e Porsche), cerchi e pneumatici maggiorati, interni personalizzati e freno a mano sdoppiato (già adottato su una controversa versione della Mini Cooper al Rally di Montecarlo), facendone un veicolo unico e maneggevolissimo. Steve Mc Queen comperò un “Meyer’s Manx” motorizzato Corvair (180 HP SAE), elaborato da Pete Coons, che venne usato nelle riprese del film “L’affare Thomas Crown” (titolo originale ”The Crown Affair”). A questo punto le distese di sabbia, le dune ed ogni terreno “difficile” iniziarono ad assistere alla sfida tra “dune buggies” Water-Pumped ed Air-Cooled, sia in accelerazione che in salita.
Il fuoristrada interessava già nel 1962 Dave e Bud Ekins, che volevano tentare la traversata non-stop, in motocicletta, da Nord a Sud, della penisola di California, lungo “The Road”: un eufemismo per definire oltre novecento miglia di sterrato tra rocce, cactus e polvere, percorso, qualche secolo addietro, dai Gesuiti impiegando mesi interi (il percorso è anche conosciuto come la Strada delle Missioni). Colonne di mezzi militari la percorrevano impiegando settimane, per cui, prudentemente (pensava che un solo membro della famiglia dovesse rischiare), Dave convinse Bud a farsi sotituire da Bill Robertson: in breve Dave Ekins impiegò 39 ore e 56 minuti, Bill Robertson due ore in più, entrambi su Honda 250 Scrambler. Mentre la notizia si diffondeva, un grosso Costruttore americano di auto ed uno italiano di moto si misero all’opera per preparare l’attacco al record. Pietosi veli di silenzio sono calati sui due tentativi miseramente falliti, nonostante la meticolosa preparazione, e nessuno ha mai voluto rivelare i nomi coinvolti. Cosicchè, nel Maggio 1966, Bud e Dave Ekins ed Eddie Muller, su Triumph 650, ritentarono, migliorando il proprio tempo di soli 8 minuti. Ad Aprile del 1967 Bruce Meyer e Ted Mangels (su Meyer’s Manx, ovviamente) riuscirono a coprire la distanza tra La Paz e Tijuana in sole 34 ore e 45 minuti. Dopo il tentativo di Claude Dozier ed Ed Orr (Toyota Land Cruiser) a Giugno, in 41 ore e 45 minuti, fu la volta, a Luglio, di Spence Murray e Ralph Poole (della redazione di ROD & CUSTOM) su Rambler (originale con la sola aggiunta di due piastre sotto la coppa dell’olio ed il differenziale, sospensioni rinforzate e serbatoio supplementare) in 31 ore esatte. I tempi erano maturi: il 1 Novembre 1967 da Tijuana prendeva il via la prima edizione del rally non stop “BAJA 1000” con 68 concorrenti. La gara fu vinta da un dune buggy (Manx VW) che impiegò 27 ore e 38 minuti, seguiti da un’ Usqvarna; l’anno successivo, con 243 partenze (254 le iscrizioni) venne sancito il successo definitivo che avrebbe provocato, successivamente, numerose imitazioni, cambiamenti all’ Organizzazione e modifiche nel regolamento di gara e nel percorso.
Approssimativamente nel medesimo periodo (notare che la prima metà degli anni sessanta fino alla metà degli anni settanta è caratterizzata da un’esplosione di inventiva mai più verificatasi) lo hot rodding, la craftmanship e l’ingenuity iniziarono a produrre il “monster truck”, originariamente identificato con “Big Foot” (primo esemplare 1975), nome del primo successo di un tale tipo di veicolo. In pratica si tratta della moderna versione del “water-pumped bug”, possibile grazie ai progressi tecnici ed alla diffusione di “aftermarket parts” specifiche, ma il suo utilizzo è sempre quello di affrontare terreni e difficoltà altrimenti insuperabili ad una normale automobile, anche se specificamente progettata per il fuoristrada.
Peccato che percorsi fangosi, sabbia e rocce di tipo lunare vengano spesso presentati come “stranezze” affrontate con un presunto spirito “goliardico” dai veri fuoristradisti che ben conoscono, al contrario, le vere difficoltà e le difficili tecniche di guida necessarie “ad arrivare dall’altra parte”.
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