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Il processo di trapianto dello hot rodding nei Paesi al di fuori degli Stati Uniti (specialmente in Europa) è caratterizzato da iniziative, spesso lodevoli ed avanzate, purtuttavia sempre di tipo sperimentale; per di più quasi sempre dovute a singoli individui e non a spinte collettive.

Queste caratteristiche sono le principali cause che ne hanno determinato, spesso, il fallimento o il lento decadimento.

Il maggior responsabile di questo status deve essere individuato nei “media”, intendendosi con questa espressione quel mix di informazione e proposta che, a vari livelli, ha, invece, mantenuto in vita altri sports e fenomeni di costume.

A dispetto di questo stato di cose, agli inizi degli anni sessanta vi fu un continuo fiorire di proposte che provocarono anche la reazione della Stampa: allora radio e televisione erano limitati a spettacolo e informazione politica o strettamente scientifica o sportiva limitatamente a calcio, campionati mondiali ed Olimpiadi.

In particolare la stampa specializzata seguì con genuino interesse la lotta a distanza ingaggiata da Karl Abarth contro la BMW per i records internazionali sulle brevi distanze (così si chiamava ufficialmente l’accelerazione); entrambi i contendenti si basarono su due “Formula 2“ (motorizzazione di due litri), pur se per motivi diversi. Se Karl Abarth, già noto elaboratore, aveva sposato la tesi “Henry Ford” per pubblicizzare la propria linea “economica” di accessori, la BMW, probabilmente, aveva deciso di farsi largo nel mondo dei Big sfidando un recordman già affermato. Non è da dimenticare, infatti, che Abarth aveva già conquistato numerosi primati anche sulle lunghe distanze, con Mario Poltronieri (il futuro telecronista) ed altri piloti alla guida delle sue macchine, nelle Classi di cilindrata inferiore, quelle che poi avrebbero portato alla produzione della “595”, “695”, “850” “1.000” e “1.300”, tutte basate su meccanica Fiat o Simca (allora in joint-venture con la Casa torinese).

I principi del trasferimento dinamico delle masse non erano ancora di pubblico dominio, nè, in Italia, si sapeva alcunchè della “teoria della leva” formulata, con successo, da Donald Garlits: al contrario Sidney Allard, inglese, destinato ad entrare in contatto con lo “US Drag Tour” organizzato dalla N.H.R.A. nel 1964 in Gran Bretagna, aveva accesso non solo ai telai “Dragmaster” ma anche a pneumatici slicks. La F.I.A. di allora non notò minimamente la diversa architettura di Abarth e BMW, opposti ad una macchina “espressamente costruita per accelerare” ed iscrisse nel proprio Albo d’Oro la macchina inglese che aveva letteralmente surclassato i precedenti primati, alternativamente conquistati dai due europei continentali.

Dopodichè sull’accelerazione calò il silenzio, almeno quello dell’informazione specializzata: mentre, a fine stagione, quando non si avevano argomenti più interessanti da pubblicare, diversi settimanali si divertivano a stampare servizi fotografici riccamente commentati da gente che sapeva solo citare “le stranezze di quei mattacchioni di americani”, confondendo gli hot rods con i dragsters e parlando di “macchine d’epoca” a proposito di una Gas o di un’Altered.

Con l’avvento degli anni ottanta gli appassionati italiani iniziarono a rendersi conto che oltreconfine qualcosa si stava muovendo: customizers in Francia, drag-bikers nei paesi bassi, drag cars in Gran Bretagna sulla mitica pista d’aviazione di Santa Pod, persino drag races disputate in Germania all’interno di basi N.A.T.O. e nei Paesi scandinavi sulle piste usate dagli aviogetti. Da quì, per fortuna, nasce, nel 1986, la fortunata serie che oggi si chiama European Drag Championship.

Sul fronte dello street-rodding ancora l’Italia con un laureando in ingegneria, Fabio Buzzi, che propone un originalissimo hot rod basato sulla libera interpretazione della Ford T, motorizzato Lancia Aurelia: da notare che l’ing. Buzzi è oggi un affermato progettista di scafi “off-shore”, vincitore di numerosi, e prestigiosi, allori internazionali.

In Europa la European Street Rod Association, forte dell’adesione di moltissime Organizzazioni Nazionali (Italia esclusa, naturalmente) organizza una mezza dozzina di Raduni e Cruises, sul modello di quelli Americani.

I Media nazionali, in tutt’altre faccende affacendati.

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I primi contatti tra drag-racers inglesi ed americani sono testimoniati da questa foto del 1964: quello seminascosto, a sinistra, è uno dei primi “Swamp Rat” di “Big Daddy”.

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Karl Abarth alla guida della sua rossa Formula 2, alla partenza di un tentativo di accelerazione svoltosi sul rettifilo delle tribune dell’Autodromo Nazionale di Monza: Novembre 1965.

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La Formula 2 della Casa bavarese, pilotata dal tedesco Klaus Steinmetz, ancora sulla pista di Monza, durante uno dei tentativi di accelerazione.

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Questo è il vero dragster  pilotato da Les Turner, inglese, il quale, nel 1966 stabilì il primato omologato dalla F.I.A. sulle “brevi distanze”: il divario con le prestazioni della Formula 2 fu superiore ai tre secondi e mezzo, sul quarto di miglio: 11”.15 contro 14”.96.

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Il primo hot rod interamente costruito in Italia (a quel che risulta è ancora l’unico) dal futuro ingegnere Fabio Buzzi, nel 1966: la realizzazione, curatissima, fu oggetto di un servizio pubblicato da Quattroruote.

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Questo dragster, progettato da Alexandre Kapoustine, ingegnere del “Glavlenavto-transport” presso l’Università di Leningrado, aveva una curiosa caratteristica: prevedeva, probabilmente primo in Europa, l’engine swapping (trapianto  di propulsori) tra ben tre motori di diversa cilindrata. In regime di “Guerra Fredda” (1966) è semplicemente stupefacente!

 

Ciò che stupisce maggiormente i non addetti ai lavori non è dovuto alle attività europee legate, in una maniera o nell’altra, alla pratica dello hot rodding: è la diffusione planetaria di molte specialità.

Gli australiani sostengono, ad esempio, di essere stati pionieri nella nascita della drag race, molto prima che i “lakers” californiani tentassero esperimenti (1938) con la standing start (partenza da fermo). Una donna, Mrs J. Jones, già nel 1930, avrebbe tentato l’accelerazione pura proprio sulla distanza di un quarto di miglio a Bondi Beach, una spiaggia vicino a Sydney, con un’ Alfa Romeo dotata di compressore. Per evitare le smentite citano anche un record ufficiale di 18”.25.

Durante gli anni sessanta molti “aussies” (soprannome con cui gli yankees chiamano gli australiani) si dedicarono alla pratica dello hot rodding, stradale e drag race, fino al 1973, data di costituzione ufficiale della “Australian National Drag Racing Association”, subito incaricata dalla “Confederation of Australian Motor Sports” (CAMS) di regolamentare le drag races.

Sostenere che si tratta di un episodio passeggero è quantomeno azzardato, anche perchè alcuni drag racers australiani sono approdati, con successo, sulle strips U.S.A.: il più noto di tutti è David Grubnick, primo vincitore non americano di una finale su una strip americana, nel 2006.

Dodici anni dopo la fondazione della A.N.D.R.A. Ted Robinette ed Andy Jenkins si presero la briga di provare il letto del lago preistorico disseccato “Lake Tyrell” (Stato di Victoria) ma non ne furono soddisfatti: il luogo ideale fu reperito sul “Lake Gairdner” (South Center South Australia) dove si tenne il primo “meeting” di velocità nel corso del 1990. Da questi voluti tentativi è nata la “Dry Lakes Racers Australia”, una controparte della S.C.T.A. caratterizzata da un’entusiasmo e risultati invidiabili.

Una pista sulla quale si disputano competizioni del tipo “Street Legal” sull’Isola di Malta o negli Emirati Arabi non dovrebbero più stupire nessuno, alla stessa stregua di un  prossimo allargamento della N.A.S.C.A.R. in Messico, con la definitiva smentita dell’affermazione secondo la quale lo hot rodding dovrebbe essere un’attività esclusivamente lagata agli Stati di lingua anglosassone: che dire della “France Street Rod Association” e della “Spanish Street Rod Association” o della neonata (2004) “Hungarian Street Rod Association”?

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Il Calder Park Thunderdrome situato a circa venti chilometri da Melbourne comprende un ovale “NASCAR type” ed una drag strip regolamentare.

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La storia del drag racing australiano è molto più antica di quanto non sia dato immaginare leggendo i media europei ...

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Pro Stock Bikes agli antipodi.

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Funny Cars di tipo “aussie”.

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I drag racers australiani hanno compreso l’importanza della preparazione psicofisica e tecnica nel drag racing.

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Il “challenger” australiano alla conquista dello L.S.R.

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