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“Shot-rodding” è un vocabolo dalla storia interessante: pare sia stato coniato negli Uffici di alcuni Dipartimenti di Polizia, subito dopo che i Comandi avevano iniziato a riconoscere i Clubs legalmente costituiti da hot rodders. Si dice che i Poliziotti, utilizzando il vezzo, proprio degli hot rodders, di abbreviare frasi e denominazioni nel tentativo ingenuo di non essere completamente compresi, aggiungessero una “s” ad hot rodding al fine di individuare le attività illegali: il motivo era duplice. Da un lato “shot” significa sparo e richiama immediatamente attività delittuose; dall’altro la “s”, aggiunta alla “h” aspirata, obbliga ad una pronuncia che ricorda lo sputo e, quindi, un atteggiamento dispregiativo.

Perchè “shot-rodding” individua tutto ciò che, nella pratica di attività pseudo-sportive, è dichiaratamente fuorilegge.

La prima e più eclatante manifestazione di shot-rodding è quella messa in atto attraverso le sfide “three lights for a pink slip”, disputate in spregio alle norme di circolazione e senza il libero consenso del malcapitato di turno. In pratica i giovinastri, dotati di auto poco curate esteticamente, mettevano in scena la moderna versione della favola di Esopo, fingendosi lepri zoppicanti nel confronto con “tartarughe” in buona fede. Non è il caso di sottolineare che il veicolo che proponeva la sfida era una vera “Q-ship” o nave civetta, ovvero una bomba molto ben mimetizzata.  Una volta vinta la sfida (irrinunciabile data la presenza di minacciosi compari) il proponente aveva due scelte, dettate dalla convenienza del momento: o ritirava a vettura letteralmente all’istante, al termine della tratta dei tre semafori, o, se giudicava che il veicolo fosse poco appetibile, proponeva una sorta di “riscatto” in dollari sonanti, spesso cifre che superavano il valore della macchina.

La seconda attività illegale dei teppisti consisteva nel “midnight suppy”, contrazione e storpiatura voluta di “acquisti di mezzanotte”. E’ ovvio che nessuno Speed Shop prolungava l’orario di apertura fino all’inizio delle ore piccole, ma la sconsiderata e fiducosa abitudine di privare del cofano motore i veicoli elaborati, e di parcheggiarli lungo i marciapiedi cittadini o nel vialetto di accesso al garage, offriva l’opportunità di “acquisire” nottetempo batterie di carburatori Stromberg, testate plurivalvole, scarichi autocostruiti e cerchi Buffalo o strumentazione racing. Materiale destinato alle Q-ships della teppaglia.

Pare anche di capire che la “radice” di queste attività illegali avesse origine in legami, più o meno consolidati, con la vera malavita organizzata, quella che aveva, proprio a Los Angeles e dintorni, iniziato ad interessarsi al motorismo sportivo delle piste ovali della periferia, organizzando scommesse clandestine che coinvolgevano, senza distinzione, pubblico e piloti.

L’ultima manifestazione di shot-rodding altro non è che una riveduta e corretta edizione delle primitive sfide e si traduce nello “street racing”, gare di accelerazione su strada aperta al traffico, organizzate al di fuori della tutela offerta dagli Organismi sportivi e pericolosissime per concorrenti, pubblico ed ignari cittadini.

Altre attività sono state accusate di rientrare nella definizione di shot rodding: la più famosa e recente è rappresentata dal “bracket racing”. In effetti l’origine di questa specialità può far pensare a qualcosa di non esattamente cristallino: è noto che le Associations della drag race hanno l’abitudine (si proclama per motivi legati all’aggiornamento tecnico) di modificare continuamente (a volte con cadenza settimanale) i loro rule-books e relative norme. Il week-end warrior (pilota della Domenica) può seguire gli aggiornamenti fintantochè il suo portafogi glielo permette. Poi cade irrimediabilmente nella lista degli esclusi dalle liste dei qualificati perchè non è più in grado di scendere oltre determinati tempi che, purtroppo, conosce molto bene. I veicoli iscritti nelle Classi “streetable” (guidabili su strada) hanno inevitabilmente un aspetto particolare (decals di Sponsors tecnici, adesivi della strip, strumentazione) che attira l’attenzione e provoca domade quali: “che tempo fa?” riferito al quarto di miglio. Dalla risposta, anche in buona fede, può dipendere la reazione incredula e la conseguente richiesta della prova provata. Dopo le prime esperienze, spesso accompagnate dagli insperati guadagni della scommessa “tra amici”, qualche ex-racer si dedicò alla ricerca di possibili avversari che non accettassero sulla parola la sua “dichiarazione”.  Fino a questo punto si poteva ancora credere ad una certa illegalità. Il fatto è che la “dichiarazione” (dial-in) e tutto il linguaggio (preso a prestito dalle comunicazioni telefoniche) ed i rituali del bracket-racing (correre tra parentesi, quelle dei tempi) esplosero come nuova moda tra i teen-agers (e non) migrando sulle strips di mezza America dove, grazie alle apparecchiature elettroniche di rilevazione dei tempi, era impossibile non credere ai time-slips ufficiali (scontrini dei tempi). Per una mezza dozzina d’anni il bracket racing rimase, comunque, un’attività non regolamentata, anche se seguitissima dagli organi di stampa specializzati (Hot Rod Magazine, Car Craft e Popular Hot Rodding) ed, in ogni caso, non illegale perchè disputata in pista. Oggi è completamente riconosciuto e regolamentato, pur se il nome primitivo è stato addolcito in “handicap racing” o “index racing”.

In buona sotanza shot rodding è solo quell’attività motoristico-sportiva disputata al di fuori di ogni regolamentazione e priva delle tutele offerte da un terreno di gara pensato per le competizioni.

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