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Pur se quasi incredibile, anche l’evoluzione del “van” trae origine dalla mitica Ford “model T”.

Fino al 1911 la Ford non produceva furgoni, quei veicoli leggeri destinati alle consegne “porta a porta”, quali quello del lattaio: molti artigiani, però, provvidero alla bisogna creando i famosi “C-cab”, trasformazioni della Ford model T dotate della curiosa apertura a mezzaluna dei finestrini al posto di guida. La domanda del mercato consigliò alla Fo.Mo.Co. la produzione in proprio nel 1912 con dodicimila unità consegnate, aumentate a trentamila tra il 1913 ed il 1916.

Durante gli anni trenta tutte e tre le Big Three avevano già in listino i “light duty trucks” (progenitori degli attuali pick-ups) autotelai dotati di cabina, sui quali era possibile montare soluzioni pre-confezionate che spaziavano dal letto di carico a pianale senza sponde fino al furgonato telato o metallico: i light duty trucks (autocarri per lavoro leggero) erano suddivisi in tre categorie, a seconda della portata utile: 1/2 ton, 1 ton, 3 tons.

I light duty trucks erano, in pratica, l’adattamento del telaio di una berlina “full size”, con l’impiego di un motore economico ed affidabile, ad un corpo-vettura di tipo commerciale: i primissimi esperimenti, orribili esteticamente, chiamati “coupe-express”, prevedevano un piano di carico, dotato di sponde, estraibile dal bagagliaio di una vettura coupe.

Il trend degli autoveicoli commerciali derivati da vetture passeggeri, si interruppe con l’introduzione delle carrozzerie station-wagon alla metà degli anni quaranta e la successiva commercializzazione del “microbus” Volkswagen, importato fin dai primi anni cinquanta. Nel 1958 la International Harvester presentò il “Travelall”, nel 1960 la Chevrolet rispose con il “Carryall” e nel 1963 la Ford riprese padronanza del settore con l’ “Econoline Station Bus”.

Anche la denominazione dei vari modelli rispondeva alle richieste del mercato, la dove mancavano offerte di veicoli capaci di assolvere il duplice compito del trasporto, anche alternativo, di medie quantità di merci od oggetti e persone in numero superiore alle 4/5 delle berline o stations.

La progettazione dei primissimi vans era ispirata ad esigenze quali l’affidabilità e l’economicità di gestione, quindi si trascurarono volutamente gli aspetti estetici (i vans sono vere “shoe boxes”, scatole da scarpe) e quelli velocistici a causa dell’uso presumibile cui erano destinati: brevi tragitti in aree urbane o suburbane ripetuti lungo tutto l’arco della gionata.

Gli hot rodders che esercitavano attività di tipo sportivo (prevalentemente drag-race) scoprirono subito le potenzialità del van qaule veicolo di appoggio nei trasferimenti tra una strip e l’altra, ed iniziarono a modificarne gli interni per adattare il posto guida e renderlo più confortevole, a sfruttare convenientemente il vano di carico per trasformarlo in una succursale itinerante dell’officina di casa.

I primi Sponsors e l’esigenza di distinguere il proprio veicolo, si appropriarono delle fiancate spoglie e surdimensionate al fine di pubblicizzare il Team e chi lo appoggiava: a questo punto il van era irriconoscibile, rispetto a quello uscito dalla catena di montaggio.

Il periodo storico durante il quale avvengono queste trasformazioni è caratterizzato da una ricerca della propria identità, messa in atto dalla turbolenta gioventù “di tipo sessantottino” (diremmo noi europei) la quale, anche nei mezzi di trasporto, per protesta, predilige il “maggiolino” Volkswagen alle berline e cabriolet di casa, e migra volentieri verso il “traveler” tedesco.

Un mezzo di trasporto che non consuma granchè, che offre spazio anche per chitarre ed amplificatori, sul tetto del quale si possono caricare tavole da surf e tende, che consente, infine, di dormirci dentro, al riparo dalle intemperie, in compagnia di tutti gli amici, occasionali e non, è una sostanziale conquista della libertà, riscoperta al fine di “vedere tutte le stanze della casa in cui abito” (viaggiare in lungo ed in largo per gli U.S.A.).

Attingendo a piene mani da tutte le tecniche impiegate da hot rodders e customizers, i teen-agers degli anni sessanta e settanta creano il van: swapping di propulsori e trasmissioni più potenti ed adatti alle lunghe distanze, arredamento interno comprensivo di “impianto stereo” e letto matrimoniale, estetica “psichedelica” che introduce ai primi esperimeti di “graphic paint jobs”, poi applicati anche alle custom cars ed alle lowriders.

Infine “van”, perchè? E’ un nome breve ed il suo significato è “vagone merci”, quei carri-bestiame che regolarmente ospitavano i disperati-vagabondi durante il periodo della Grande Depressione degli anni trenta, ripresi in molta letteratura e filmografia, un vero simbolo della libertà “di andare dove mi porta il treno”.

Se permettete, anche questo è hot rodding.

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Ford model “TT” del 1918: derivato dalla vettura, ebbe un enorme successo ed impiego ovunque, anche nei teatri di guerra.

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Un “C-cab” del 1925: non molte le differenze con l’esemplare di sette anni più vecchio (foto sopra).

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Il “panel delivery”, un “light duty truck” ricavato dal telaio di una berlina e destinato alle consegne in città. Anni ‘30.

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Negli anni quaranta e cinquanta il “furgonato” acquista una sua personalità più spiccata, pur rimanendo derivato da una berlina full size.

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Il “transporter” della Volkswagen”, uno dei primi esemplari di “Van” adottati dalla gioventù “hippy” degli anni sessanta-settanta.

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Il van commerciale iniziò ad essere prodotto ed a diffondersi nei primi anni sessanta

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Il van personalizzato: questo è un esemplare impiegato nella nota serie televisiva “A Team”.

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Una grintosa motorizzazione (vedi i due scarichi proprio davanti alle due generose motrici posteriori) ed il van è pronto per i Bonneville Salt Flats.

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La sobrietà e l’aggiunta di bolt-ons adatti permette di rendere custom qualsiasi van di produzione.

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Certo è che nessuna limousine permette un simile confort!

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Il van originale era un carro ferroviario utilizzato dal personale di bordo per il riposo ed il disbrigo del lavoro di routine.

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