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La “camera-car” di HOT ROD Magazine in azione sui Bonneville Salt Flats: 1951

Grandissima parte della popolarità in Nord America degli “sports motoristici americani” è dovuta al massiccio interessamento dei Media. Grandissima parte della “non conoscenza” circa i medesimi sports motoristici americani, in Europa ed in Italia, è responsabilità diretta del mancato interessamento dei Media.

Arpa-Net, il progenitore dell’attuale InterNet, è stato creato per consentire, favorire e facilitare lo scambio di informazioni scientifiche tra i Membri  di alcuni Atenei Americani.

Molti Studiosi di Economia hanno, da una decina d’anni, sottolineato ed evidenziato il valore “economico” dell’informazione: in parole povere il “know how”, anche se non precisamente quantificabile (forse, in un Bilancio), è un “patrimonio dell’Impresa” importante quanto gli Impianti ed il Credito, in alcuni casi “molto più importante”.

Nell’esaminare la questione proposta da questi due “statements”, risulta, in pratica, che i Professionisti dell’Informazione siano gli unici a non aver ancora capito, od applicato, i principi universalmente accettati al riguardo della “conoscenza”. Quantomeno ciò accade con regolarità inquietante nel settore, molto particolare, dei Media interessati agli sports motoristici, in Europa ed in Italia.

La regolarità è inquietante, a mio personale avviso, perchè generalizzata (non vi sono eccezioni, salvo quelle definibili come sperimentali) e, soprattutto, perdurante da almeno cinquant’anni.

Se, per ipotesi, si venisse a sapere che “Quando la moglie è in vacanza” interpretato da Marilyn Monroe o “Il vecchio e il mare” scritto da Ernst Hemingway o “Surfing Safary” cantato dai Beach Boys “non sono mai stati proposti in Italia” non oso neppure pensare alle conseguenze: purtroppo, al contrario, è avvenuto non solo un fatto del genere ma qualcos’altro di ben più grave: ci hanno nascosto qualcosa di simile al “fenomeno Rock and Roll” od ai “films del genere Western”.

Prova esemplare a sostegno: nel 1948 un benzinaio di Daytona Beach fonda un’Organizzazione con l’immediato supporto di seicento iscritti e si espande a macchia d’olio su tutto il territorio di Stati Uniti, Canada e Messico, fino a contare, quasi sessant’anni dopo, 60.000 iscritti ed un target di spettatori valutato in circa ottanta milioni di unità, ovvero un americano su tre, all’incirca. Non ne sappiano nulla, anche per un’inspiegabile accanimento messo in atto proprio cinquant’anni fa a mezzo dell’affermazione secondo la quale si trattava di “un affare di famiglia” (“a family affair”) mal traducendo l’inglese e proponendo tra le righe che la “famiglia” non fosse (già allora!) quella alla quale tutti avrebbero dovuto pensare. Ininfluente il fatto secondo cui nell’organizzazione erano effettivamente inclusi moglie, figli e figlie, dato che il benzinaio aveva personalmente finanziato l’impresa, attingendo ai risparmi “della famiglia”.

L’opinione personale di chi ha scatenato il putiferio è comprensibile se si pensa alle difficoltà di comunicazione dell’epoca (una telefonata transoceanica “viaggiava” su cavo sottomarino attraverso l’Oceano Atlantico) e la conoscenza dello slang non esattamente diffusa, in Italia, se non si era conosciuto un militare di stanza a Roma: anche in questo caso era più facile apprendere parolacce che non il linguaggio di un “moonshiner” centrato su “modifieds” e “dirt tracks” o “corners”.

Il guaio è dovuto a chi, in seguito, sentendo pronunciare il nome “Daytona” ha solo pensato alla parata di Ferrari P4 che tagliavano il traguardo in contemporanea e non ha pensato ad informarsi sul come un tale impianto potesse sopravvivere in attesa che gli europei inviassero altri squadroni a difendere l’onore continentale. Così come un comunicato stampa sui primi “Nationals” tenutisi ad Indianapolis può aver fatto pensare che si trattasse dell’ “Indianapolis Motor Speedway” e non dell’ “Indianapolis Raceway Park” e di “dragsters” (dragsters, che diavolo vuol dire?... non c’è sul dizionario!).

Sulla base di questa ipotetica spiegazione abbiamo ancora un margine di manovra: “lascia perdere oggi, lascia perdere domani” e l’argomento scema d’importanza, incalzato, magari dal Gran Premio d’Italia a Monza (impianto che nel terzo millennio rischia la chiusura, così come è accaduto ad Imola, mentre Daytona ha aggiunto tribune e posti a sedere oltre alle “S.A.F.E.R. barries” dalla misteriosa conformazione).

A suon di ipotesi, anche se fantasiose, si può tentare una difesa accettabile soltanto per mancanza di prove, fino al momento in cui Televisione, Internet ed aerei supersonici uniti alla messa in orbita di satelliti artificiali dedicati alle telecomunicazioni rendono il Mondo “molto più piccolo e molto più accessibile” (parola di Giornalista). Non per gli sports motoristici, o meglio, esclusivamente per i Gran Premi della Formula Uno, neppure per la gloriosa 24 Ore di Le Mans, anche se tra i primi cinque si classificano tre Piloti italiani. Non parliamo di Indianapolis o della “Pikes Peak” (fino al momento in cui la vittoria va a Michelle Mouton, ma successivamente diventa un argomento “già trattato” soprattutto quando il record è appannaggio di uno sconosciuto neozelandese).

Il risultato è la “censura virtuale” su cent’anni di storia, decine di migliaia di Piloti e vetture, centinaia di migliaia di episodi e fatti realmente accaduti di cui nessuno sa nulla ed esperienze già vissute altrove, gettate al vento senza che nessuno se ne possa rendere conto.

Esistono filmati di gare disputate sui deserti lakes del Mojave negli anni trenta, pellicole a soggetto motoristico, migliaia di testi, interviste, rapporti tecnici che potrebbero essere tradotti e commentati, programmi televisivi che viaggiano ignorati nello spazio e collegamenti non presi in considerazione per confezionare “conoscenza ed informazione” utili soprattutto alle nuove generazioni le quali, quasi in clandestinità, stanno iniziando ad interessarsi al “nuovo” aspetto del motorismo che ha un secolo di vita da regalare.

Molti si chiederanno “come mai?” o “perchè?”: c’è un dubbio di fondo sulle mie affermazioni... ma è suffciente leggere (questa volta in italiano) il bimensile “CRUISIN’” (in Edicola dal 2004) e rendersi conto che un interesse vero per le novità di cent’anni interessano, e come!

Sarà mai possibile invertire questa tendenza improntata esclusivamente alla più assoluta “staticità”? Sarà possibile farlo con la professionalità sempre sbandierata e mai dimostrata da ex D-j della radio locale che si improvvisano telecronisti di avvenimenti profondamente sconosciuti sin nelle denominazioni? Si potrà, un giorno non lontano, leggere una ponderata comparazione tra una stock car e le vetture “di serie” dei Campionati europei?

In attesa, molti dei neo-appassionati agli sports motoristici americani hanno gli shops on-line per cercare, trovare, acquistare e godersi ciò che desiderano: e gli Editori italiani stanno alla finestra, forse in attesa di tempi migliori. Tra altri cinquant’anni?

In definitiva: i Media del Vecchio Continente hanno saputo creare soltanto due miti: il Calcio e la Formula 1; i Media del Nuovo Continente seguono da decenni il baseball, il football, il basket, il golf, l’atletica, il nuoto, lo sci, il ciclismo e il motorismo. Non hanno creato miti, non hanno imposto discipline, hanno proposto cronache: hanno lasciato scegliere ai giovani ed al Pubblico.

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