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Il “turning-left” americano ha, probabilmente, due radici distinte e convergenti nel moderno sport: una prima origine che su piste derivate da vecchi impianti ippici abbandonati (in pratica: “quello che era disponibile”) tentava di emulare le gesta dei piloti europei. La seconda, molto più nascosta (fino a rasentare l’illegalità pura) che nasce con le difficoltà economiche durante il periodo della Depressione e sfocia nello sport-spettacolo costituito dal circuito delle stock-cars.

Il “turning left” è anche conosciuto come “circle tracking” o “oval tracking” e riguarda le corse in automobile disputate su circuiti generalmente a pianta ovale: la mancanza di curve destrorse ha sovente provocato critiche da parte degli europei, per una pretesa incompletezza delle possibilità di guida o per l’assetto particolare che richiedono le sospensioni.

La presunta “limitazione” è univocamente rilevata e non corrisponde assolutamente alla verità: sia le vetture a ruote coperte (ad esempio le stock cars) che quelle a ruote scoperte (come le Indy cars) sviluppano potenze e valori di coppia piuttosto elevati, sono oggetto di studi tecnici riguardanti il loro sviluppo e la messa a punto generale (“fine tuning”) richiede specializzazione ed esperienza, nè più nè meno di quanto non capiti ad altri tipi di vettura impegnate in competizioni più tradizionali per noi europei.

La storia del turning left è, infatti, molto più antica di quanto non si creda e nasce proprio in Europa, qualche secolo prima di Cristo, quando Greci e Romani iniziarono a costruire arene destinate ad ospitare i loro “giochi”: i Greci, ancor prima delle Olimpiadi, iniziarono a far correre gli atleti in senso antiorario su tracciati a pianta ovale, poi imitati e migliorati dai Romani in epoca imperiale. All’origine di tutto l’anfiteatro greco le cui caratteristiche architettoniche (pianta a semicerchio e gradinate convergenti) consentivano a tutti indistintamente gli spettatori di vedere ed udire ogni ombra ed ogni bisbiglio senza fatica alcuna perchè il palcoscenico era al centro esatto della costruzione: unendo due emicicli si ottenne la pianta ovale, mantenendo le gradinate su tutto il perimetro.

Le corse delle bighe si disputavano attorno a due colonne piazzate nei due “fuochi” dell’anfiteatro e le due curve venivano percorse girando “a sinistra”: se è esatta la ricostruzione messa in opera per il film “Ben Hur”, quella è l’origine dell’abitudine, mai abbandonata da trottatori e galoppatori nel percorrere l’ovale della pista.

Quando l’automobile iniziò la lenta e inesorabile sostituzione di cavalli, carri e celesse, i nobili proprietari di scuderie equine le sostituirono gradatamente con quelle motorizzate, ma non persero l’abitudine delle scommesse puntando sulle loro vetture opportunamente guidate da chauffeurs anzichè da fantini. Ovviamente laddove la motorizzazione era più diffusa e congiuntamente mancavano i nobili (ma non i capitali) le prime piste ippiche diventarono anche le prime piste adattate alle competizioni in automobile.

Utilizzando il loro fiuto imprenditoriale, i gestori delle piste americane rilevarono, giustamente, che la conformazione geometrica dei loro impianti permetteva a tutti gli spettatori di assistere (come i loro antenati greci) ad ogni fase della competizione in qualsiasi punto della pista si fosse verificata e dotarono i tracciati di opportune tribune, sia lungo i rettilinei che a fianco delle curve, le quali ultime vennero successivamente inclinate per due motivi: limitare gli effetti della forza centrifuga ed offrire una migliore visuale dei mezzi in corsa.

Se vi fosse ancora bisogno di motivi per difendere il turning left, si può senz’altro citare la popolarità nei vari Stati degli Stati Uniti d’America rilevata da un’Agenzia pubblicitaria, alcuni anni addietro. Pare che gli spettatori coinvolti (in pista e da casa, davanti al televisore) superino i settanta milioni, è assodato che gli impianti funzionanti, anche solo stagionalmente, sono un migliaio mentre i piloti attivi nelle varie categorie, anche amatoriali, superano le centomila unità.

In definitiva non si capisce perchè qualcuno dovrebbe criticare il turning left, soltanto per inesistenti limitazioni.

Una questione molto sottile potrebbe, invece, essere posta circa l’appartenenza del turning left al fenomeno di costume hot rodding, soprattutto perchè, oggi, media, piloti e fans non citano nè vantano (quasi mai) la loro appartenenza a questo movimento.

Innanzitutto la nascita dello hot rodding è avvenuta (sia per Henry Ford che per Ed Winfield) avendo in mente i circuiti ovali; secondariamente le primissime elaborazioni si svilupparono per potenziare mezzi destinati a correre sugli ovali; terzo ed ultimo motivo l’enorme massa di dilettanti che ai margini degli ovali mette in pratica le proprie doti di craftmaship, ingenuity e sperimenta il trial and error per raggiungere il proprio obbiettivo agonistico.

Non vi è alcun dubbio: il turning left è “anche” hot rodding.

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I vincitori della prima edizione della 500 Miglia, nel 1911: il pilota Ray Harroun rinunciò al secondo pilota e fu il primo, in assoluto, a montare uno specchietto retrovisore sulla sua auto. La sua Marmon “Wasp” lo portò alla vittoria.

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Il paragone con la vettura di oltre novant’anni fa è assolutamente impietoso.

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La spiaggia di Daytona Beach durante una competizione di Stock Cars negli anni cinquanta.

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La pista ovale di Bristol ai giorni nostri.

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