Per essere chiari fin dall’inizio, tutto dipende dal “fine tuning” quasi maniacale degli Yankees, in gran parte ignorato in Europa. In secondo luogo la superficie delle strips di casa nostra è molto spesso la medesima delle piste “classiche”. Infine i drag racers d’oltre-oceano frequentano, sempre più spesso, “Scuole di Accelerazione”, per quel che mi risulta, inesistenti nel Vecchio Continente.
Ottomila cavalli sono, innanzitutto, “presunti” in quanto calcolati al computer con appositi programmi che tengono conto di un’infinità di fattori, non ultima la reale progressione del moto lungo i 1320 piedi di strip, la massa del veicolo, il coefficiente di aderenza teorico ed i valori di tolleranza nella effettiva trasmissione del moto dal pistone-biella fino al cerchione-gomma.
Ottomila cavalli significano, grosso modo, un cavallo sviluppato per ogni centimetro cubo di cilindrata: è come se un due litri sviluppasse duemila cavalli “alle ruote”.
L’industria automobilistica mondiale ha scelto (da lungo tempo e non si capisce bene perchè) il peggior carburante che fosse possibile impiegare per alimentare il motore a scoppio. Le ramificate molecole degli idrocarburi raffinati sono quanto di peggio sia possibile immaginare per favorire “l’accoppiamento” con le molecole di ossigeno presenti nell’aria e producono, di conseguenza, una resa effettiva aleatoria e molto bassa, quasi ridicola. Fin dai primordi l’automobilismo sportivo ha capito questo problema ed ha privilegiato altri carburanti: dalla benzina avio alle miscele di alcoli (metanolo, per esempio) caratterizzati dalla resa calorica molto più alta e dalle capacità di raffreddamento (della camera di scoppio e valvole di scarico) più efficienti.
In epoca imprecisata, probabilmente agli inizi della cosiddetta industria missilistica, durante la Seconda Guerra Mondiale, gli hot rodders del Sud California vennero a contatto con un propellente per razzi chiamato nitrometano (formula chimica CH3NO2), con una molecola compatta che contiene ben due atomi di ossigeno, in sintesi l’ideale anche in quanto a potere calorico. L’accensione di una miscela aria-nitrometano (meno di due parti d’aria per ogni parte di carburante, circa 1,7:1) è paragonata dai tecnici ad una torcia ossidrica accostata alla testa del pistone e, se si pensa che in un motore ad 8.000 giri’, ciò ovviene oltre 60 volte al secondo, è facile immaginare quanta potenza possa sviluppare il complesso pistone-biella. Purchè, ovviamente, i materiali e le loro lavorazioni siano all’altezza di sopportare lo stress termico e meccanico.
L’impiego di tecnologie avanzate presuppone, molto più spesso di quanto si possa pensare, l’abitudine ai controlli ed alla manutenzione, affinchè i risultati sperati si protraggano nel tempo e non scadano al livello di quelli ottenibili con “qualcosa” di meno avanzato e costoso. Un drag racer PRO americano è abituato a: cambiare la guarnizione di testa delle due bancate ogni certo numero prefissato di runs; smontando le testate si controlla contemporaneamente l’intero treno di valvole ristabilendo i valori e le tolleranze ottimali, e ciò avviene ad ogni singolo run; si procede al cambio dell’olio, ad ogni run; si cambiano le candele, sempre ad ogni run; si verificano volano e frizione; si pulisce il monoblocco dai residui di eventuali perdite trafilate, cercando di capirne la causa. Un team di quattro meccanici è in grado, per finire, di “sostituire” integralmente il motore di una Funny Car o di un Top Fuel in 75’ (un’ora e un quarto) essendo questo il massimo consentito dal rulebook.
Approfittando dei lavori di manutenzione si da un’occhiata all’ultimo time-slip ove, prorpio per questo motivo, sono riportati di dati sull’atmosfera circostante: pressione barometrica, percentuale di umidità (l’acqua, anche se sotto forma di vapore, contiene Ossigeno) e temperatura. Questi valori consentono di variare la percentuale di nitrometano o degli alcool ed acqua presente nella miscela di carburante, garantendo sempre il rapporto ottimale aria-carburante necessario a garantire le migliori prestazioni possibili in condizioni variabili. Di conseguenza si variano anche i diagrammi della distribuzione e dell’accensione.
Come specificato in “The strip”, le attuali tecniche di accelerazione (negli U.S.A.) si basano su un presupposto fondamentale: a garantire il miglior coefficiente di aderenza devono essere “contemporaneamente” pneumatico e pista. Gli sforzi (anche finanziari) della N.H.R.A. per stabilire quale fosse la miglior composizione della superficie sono sfociati, negli ultimi anni, in vere acquisizioni di piste, subito rifatte con particolare attenzione al compound che risulta essere, allo stato, cemento per la zona chiamata “launch pad” ed asfalto per la tratta rimanente. Nessuna strip europea ha queste caratteristiche. In particolare la zona dello staging e le water-boxes non sono correttamente utilizzate: più di un drag racer europeo pretende di fare il burnout in una pozza d’acqua ottenendo, senza saperlo, risultati nulli.
La “Frank Hawley’s Drag Racing School” è stata la prima ad aprire i battenti (negli U.S.A.) ed è attiva da ben 21 anni: se ne deve dedurre che un’attività iniziata nel 1985, ancor oggi ben viva e vegeta, è probabilmente stata utile a qualcuno, anzi, conta una dozzina almeno di altre Scuole concorrenti. Leggendo il testo di Frank Hawley ed i molti articoli disponibili anche on-line, si capisce come la presunta semplicità della drag race, soprattutto a livello PRO, sia un’affermazione assolutamente priva di senso. Salire su un qualsiasi veicolo e schiacciare l’acceleratore a tavoletta, all’accensione di una luce verde, è senz’altro cosa affrontabile da chiunque: riuscire ad ottenere il tempo più basso, in competizione, su quello stesso veicolo, lungo tutte le tornate che dalle prove libere arrivano al final run, evidentemente tutt’altra cosa.
Tutti gli sportivi, in qualsiasi disciplina, ammettono che la concentrazione ed un opportuno training psicologico integrano la preparazione atletica: ciò è possibile anche nel drag-racing. Lo sviluppo delle tecniche che hanno consentito il superamento di barriere giudicate invalicabili fino a poco tempo fa, per esempio in atletica, si basano sull’esame “frazionato” dei vari momenti e movimenti compiuti dall’atleta, per ottenere la fluidità e continuità necessarie ad ottimizzare il risultato e ridurre lo spreco di energie: ciò e possibile anche nel drag racing, esaminando, testando ed allenando, ad esempio, il riflesso e le reazioni provocate nel sistema nervoso e muscolare dall’accensione di una luce verde; la conoscenza dei movimenti delle varie parti del veicolo provocate da reazioni fisiche naturali (abbandono dello stato di quiete e progressione del moto) hanno permesso di ottimizzare la resa pilota-mezzo meccanico, in ogni singola frazione della strip. Presumo che chiedere che cosa significa “one second out” a molti drag racers, telecronisti e giornalisti europei equivalga ad ottenere una risposta sull’effettivo “sesso degli angeli”.
Il miglior sistema per capire che anche nel drag racing esiste una tecnica (meccanica e psicologica) da non deridere o sottovalutare, consiste nell’esame di una semplice curiosità. Funny Cars e Top Fuels coprono i quattrocentodue metri e trentatre centimetri (abbondanti) di strip in quattro secondi e mezzo, all’incirca; la velocità finale (misurata su diciannove metri a fine base) è mediamente superiore ai cinquecento chilometri orari, per entrambe le macchine. Per quanto a mia conoscenza nessun veicolo “tradizionale” o “classico” si avvicina, neppure lontanamente, a questi dati ed un serio pilota-collaudatore che si rispetti stenterà a credere come queste prestazioni possano essere raggiunte una mezza dozzina di volte al giorno durante ventitre prove di campionato.
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